Alessandro Giampaoli

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Opus
 2020
Approda all’installazione il lavoro di Alessandro Giampaoli che torna alla soglia, all’oltrepassare e all’accoglienza, confrontandosi anche con la storia del Convento dei Servi di Maria, donato nel 1520 da Bernardino Fabbri di Monteciccardo ai Padri Serviti a seguito dell’ospitalità dimostratagli durante un suo viaggio a Pesaro.
Un mantello rosso è accostato ad un trittico, Opus, ricco di simbologie che riportano ad una negazione della divisione netta tra materia e spirito: il cipresso, l’eternità, entro un triangolo ci accompagna nell’ascensione verso la concretezza, la creazione – le mani – che conducono all’ultimo elemento, la pietra dorata, rappresentante la sfera divina nella perfezione del cerchio.
Contrariamente al simbolismo ermetico, al centro è presente la necessità della tangibilità che si lega all’altro lavoro presente in mostra, Lumen Naturae, in cui luce, quindi sacralità, e materialità, appaiono in uno stesso cumulo. D’altronde la vita terrena è continua aspirazione interiore al divino, come sottolinea la luce abbagliante della serie Deiwo (dal sanscrito, 'emettere luce') fortemente legata all’assenza di confini spaziali, ad un’ulteriore idea del limen che si palesa.

Estratto dal testo critico di Milena Becci "Limen: l'inesistenza del confine", pubblicato in Limen - Una terra chiamata orizzonte, catalogo della mostra, a cura di Milena Becci, NFC Edizioni, Rimini, IT, 2020



The work of Alessandro Giampaoli arrives at the installation and returns to the threshold, to cross and to welcome, also confronting the history of the Convent of the Servants of Mary, donated in 1520 by Bernadino Fabbri of Monteciccardo to the Servite Fathers following the hospitality demonstrated to him during one of his journeys to Pesaro.
A red mantle is placed next to a triptych, 'Opus', rich in symbologies that refer to a denial of the clear division between matter and spirit: the cypress tree, eternity, within a triangle that accompanies us in the ascension towards the concrete, creation - the hands - leading to the ultimate element, the golden stone, representing the divine sphere in the perfection of the circle.
Contrary to hermetic symbolism, at the centre is the need for tangibility, linked to the other work on display in the exhibition, 'Lumen Naturae' (the Light of Nature), in which light, therefore sacredness, and materiality appear in the same hoard. On the other hand, earthly life is a continuous inner aspiration to the divine, as underlined by the dazzling light of the series 'Deiwo' (from Sanskrit, 'to emit light') strongly linked to the absence of spatial boundaries, to an ulterior idea of 'limen' that is revealed.


Extract from the critical text by Milena Becci "Limen: no borders", published in "Limen - Una terra chiamata orizzonte", exhibition catalogue, curated by Milena Becci, NFC Edizioni, Rimini, IT, 2020

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